parte dalla riconsiderazione dell'allodetta di Par. XX
73 per enucleare non le differenze ma le uguaglianze con la lauzeta
di Bernart de Ventadorn nella preliminare considerazione che di senso
mistico si possa parlare anche per la lauzeta e non solo per l'allodetta.
Detto ciò la Lazzerini nota come il prestito dantesco possa essere
non solo tematico esornativo ma coinvolga altri livelli di lettura e consonanze
con la mistica coeva e posta l'idea di una natura tutta astratta e simbolica
della donna ventadoriana, conclude dopo un ricchissimo e pertinente etalage
di riflessioni sui testi, alla luce della dottrina agostiniana: nella
canzone di Bernart "l'amante di Can vei la lauzeta s'inscrive nel
novero di coloro che "ipso quem videre vehementer desiderant, fulgore feriuntur"
lirico antesignano di quei miseri esclusi dal joi che "dopo lo desiderio
de la perfezione caggiono in fatica di sospiri" (Conv. III xii 11)
- m'an mort li sospir de preon-, perché celeis cui
si rivolge il suo amore è, come la dantesca Filosofia, "druda de
la quale nullo amadore prende compiuta gioia" (Conv. III xii 13)"
(p. 178). Tuttavia la studiosa non intende celare le aporie anzi le svela
e le discute notando come se le domnas fino alla IV strofe potevano
suggerire sovrasensi allegorici nella strofa successiva è difficile
che sia così. Per questo cambiando percorso lungo il "sentiero dei
sovrasensi" analizza le Allegorie attribuite a Rabano Mauro ove
femina vale "affectus carnalis" e giunge alla ulteriore conclusione
che le coblas unissinans di Bernart potevano proporsi come un canto
sulla contemplazione e la lauzeta come figura dell'anima. In tal
senso la metafora è integumentum da togliere per abbracciare
l'ipostatizzata verità: del resto il desiderio di contemplare la
donna amata senza veli è topos letterario della lirica provenzale
e non solo di quella.