Giancarlo Breschi, Ancora su "Fiore" CCXI 13, (pp. 65-74) ripropone, appena modificata, una proposta emendativa di una delle due cruces rimaste nell'edizione Contini del Fiore poiché giudicate irriducibili: "Or veg[g]h’ i’ ben che vita troppo † dura †". Contini ("Sul testo del Fiore" relazione tenuta a Ravenna nel 1971) proponeva a titolo di sola ipotesi: "troppo dome" e giudicava ingegnose le proposte di Rosanna Bettarini e di Lucia Lazzerini, la quale, tornata sull'argomento nel 1986 "individua il fattore dinamico dell'erroneità in vita" e perviene alla soluzione: "Or veg[g]h’ i’ che ista’ tropp’a dura, oh me" (p. 67). Anche Arrigo Castellani, in un contributo recenziore (Le "cruces" del Fiore) individua il fattore d'erroneità in vita e ritocca come segue: "Or vegh’i’ ben che vi[l]tà troppo dome" conservando così il "rincalzo" della rima di Purgatorio XIII 103, già proposto da Contini. Tuttavia pare al Breschi non convincente la sostituzione di vita con viltà dal punto di vista del senso generale del sonetto e in alternativa propone di localizzare il guasto in dura che emenda con nome come segue: "Or veg[g]h’i’ ben che vita troppo nome / quando tu ài paura di morire" e traduce: "mi accorgo che tu fissi ad un prezzo eccessivamente alto, tu apprezzi molto la vita, nel momento in cui hai timore della morte". La proposta del Breschi conduce a postulare un uso dell'oitanico nomer nell'accezione di "apprezzare" mai prima attestato nella lirica italiana e tale lectio difficillima sarebbe alla base dell'eziologia dell'errore. Ricordo concludendo che Gorni nel The Fiore in Context (1997) alle pp. 103-04, propone Or vegg[g]'i' ben che vita troppo no m'è.
Personalmente propongo, minima tra cotanto senno, un'altra ipotesi emendativa a partire da Contini: "Or vegh’i’ ben che vita tro’ ti dome". Traduzione: ora mi accorgo che la vita troppo ti addomestica, ti vince, allorché tu hai paura di morire. Del resto Vergogna era stata ferita e poco "ne fallì d'a terra andare".